di Franco Ruiu.
Non ho mai amato partecipare alle “ole” nel partito nel quale ideologicamente mi ritrovavo, né ho mai sbeffeggiato la parte avversa quando non ne condividevo il risultato. Ho sempre pensato che queste esternazioni rappresentano la parte meno nobile della politica, una sorta di curva sud degli stadi calcistici, ove gli irriducibili si ritrovano non per assecondare la passione sportiva ma per scaricare il peggio degli istinti. Non osannerò, dunque, chi ha portato a casa un risultato positivo (altrimenti, che si candiderebbe a fare?), ma non applaudirò chi non perde occasione per insultare, con il peggio degli epiteti, chi si discosta dal mondo virtuale che, a suo giudizio, resta il perfetto immutabile. Il mondo politico è cambiato. Si è spezzettato da tempo, dando vita a raggruppamenti localistici tra cui leghe e movimenti vari, monotematici ma anche trasversali, nel tentativo di ritrovare quella capacità che i partiti avevano di rappresentarla. E’ successo perché anche il corpo sociale si è segmentato a causa del diffondersi di modelli di vita individualistici, che lo hanno spinto verso una concezione adulterata della libertà, facendo venir meno il legame della solidarietà, coessenziale all’unità. Tanto si è adulterata che il richiamo a quella solidarietà perduta, premessa di unità, viene considerata come il peggiore dei mali, costringendolo in interpretazioni di sovranisno e nazionalismo deleteri, in posizione antitetica perfino all’esistenza della stessa Europa. E’ ben vero, come sosteneva anni fa un politico di razza, che “…l’importante è raggiungere il risultato, le motivazioni si costruiranno in seguito…” , ma è parimenti vero che i perversi dogmi delle appartenenze continuano a moltiplicare le aree di bisogno e con esse la frammentazione. Nessun ambito ne è immune, neppure il terreno delle esperienze religiose. Si sacrifica persino, per la presunzione che l’Europa sia sillogismo di benessere assoluto, la sovranità nazionale che è frutto di quel senso di solidarietà coessenziale all’unità. Ma è’ falso illudere ed illudersi che per essere “veri europeisti” sia indispensabile spogliarsi degli ambiti e degli strumenti ricapitolativi di quell’unità che ha portato gli Italiani a ritrovarsi sotto un’unica bandiera. Rafforzare i legami di solidarietà nell’unità riconoscendosi cittadini di uno Stato sovrano non significa assolutizzarne il concetto ma voler stare in Europa portando un contributo di idee proprie, nato all’interno della nostra storia che è diversa da quella degli altri Stati Europei benché ad essa si consideri complementare. Significa voler far crescere meglio tutti i valori a livello locale per proiettarli su un palcoscenico più esteso, ove ciascuno porta il suo vissuto, le sue speranze, le sue proposte, senza sottostare a logiche dogmatiche la cui scarsa elasticità indica solo la intrinseca debolezza di una formula che va aggiornata, perfezionata, adattata alle nuove complessità del reale. L’esigenza di ricercare nuove confidenze nei grandi valori della libertà si sposa bene solo con la certezza che quel percorso porterà verso un ridimensionamento dei rapporti tra cittadini ed istituzioni, tra stati e consorzi di stati, con pari dignità politica ed amministrativa. Urlare contro chi sogna questo vuol dire rifugiarsi nelle nostalgie del passato per paura delle nuove sfide che avanzano.