di Franco Ruiu.
Se un extraterrestre, che ha osservato negli ultimi 15-20 anni la vita politica dell’Italia, dovesse tirare le somme ne rimarrebbe sconvolto e probabilmente si convincerebbe che se tutti gli occupanti del pianeta sono uguali a noi, la sua fine sarà segnata. Ciò che annoterebbe ha infatti dell’anormale, se non anche del paradossale. La nostra è la nazione in cui la gestione del potere è il fine di ogni sforzo per l’esistenza ed il luogo ove la costruzione del cambiamento, secondo i principi di una originale ragion d’essere, si sono ridotti a ripetitiva retorica. La molla di questa follia è fornita, da qualche anno, dal problema dei migranti provenienti dal centro e nord Africa e, in misura ridotta, da paesi mussulmani ove le lotte etniche e tribali non sono mai cessate. Mentre intorno a noi il mondo continua a camminare e l’Europa continua la sua marcia verso il consolidamento di posizioni di supremazia della riunita Germania, con la Francia che cerca di occupare il vuoto lasciato dalla Gran Bretagna della “Brexit” e, in coda, il resto delle nazioni che cercano di sbarcare il loro lunario alla meglio, convinte che restare agganciate al treno europeo sia, alla fin fine, il male minore, da noi si cazzeggia in eterno. La paranoia era iniziata con l’uccisione del leader libico, propugnata dalla Francia di Sarkozy che voleva far tacere uno sponsor scomodo ed incontrollabile, e con la conseguente destabilizzazione di una grossa fetta del nord Africa che si affaccia alle coste italiane. Pochi avevano capito che l’eliminazione di quel dittatore avrebbe aperto le cateratte di una violenza soffocata per anni ma, almeno, racchiusa entro i confini nazionali di quei paesi. Poi pian piano, come una mitridatizzazione, il lento ma inesorabile sbarco in casa nostra di nordafricani che scappavano dalla fame, dall’oppressione, dalle violenze tribali. Ad essi si affiancarono canaglie di ogni tipo, mercanti di schiavi, di donne, di minori, scafisti senza scrupoli e, “dulcis in fundo” come le mosche al miele, le ONG di varia colorazione politica che avevano già pensato di importare, coi profughi, anche il nuovo business, trasformando in falso impegno umanitario l’insperata manna africana. La cinica replica del potere, che logora chi non lo ha, compiace alla storia recentissima, ma non ha potuto evitare il deleterio logorio dello spirito e, con esso, delle convinzioni e dello slancio necessari al cambiamento. Fino a vederlo inaridire, come la politica di questo periodo dimostra. Tra una chiassata di piazza ed un sermone papale, entrambi avulsi dai veri problemi del Paese, ci si arrabatta per trovare nel dogma dell’accoglienza l’unico motivo di riscatto politico e religioso, in una società che un tempo si definiva “cattolica”, ma che oggi non sa più quanto di nazione è rimasto e quanto sia ancora cattolica. Si va ad occhi chiusi, con l’enorme carico di disoccupati, per carenza di una seria politica industriale, infrastrutturale, culturale, internazionale e professionale per i giovani che devono uscire dall’inoccupazione, giunta ai limiti della disperazione. Come se non esistesse più un futuro. Accoglienza prima di tutto, solo accoglienza, paranoicamente accoglienza. Si va in direzione di uno stato sociale sempre più dissestato, che rifiuta programmi di assestamento cedendo alle spinte delle corporazioni e di ciò che residua da alcuni partiti senz’anima. Va, con ogni possibile handicap in crescita, verso l’invecchiamento demografico, mentre i giovani abbandonano una nazione confusa, priva di programmi per gli anziani mai definiti perché non fruttiferi politicamente, senza politiche per la famiglia già patrimonio acquisito di tutti gli altri stati europei. Va parlando di solidarietà per chi solidale con noi non vorrà mai esserlo, farfugliando di una giustizia applicata a macchia di leopardo e solo quando gli interessi di bottega lo vogliono. Questo è il risultato della lotta che la nuova classe politica italiana ha voluto contro i partiti, che un tempo erano strumento di mediazione tra istituzioni e bisogni del cittadino. Oggi i nuovi demiurghi dettano legge, vivono alla giornata confondendosi tra loro, mischiandosi disordinatamente e parlando lingue diverse, esprimendo ambizioni diverse e prospettando traguardi diversi. Nella nebbia più totale, il loro narcisismo ha imboccato l’unica via che non porterà ai traguardi di slancio ideale che si volevano raggiungere. Urlando come invasati che questa è la loro battaglia di civiltà.