Senza frontiere e senza strategie

di Franco Ruiu.

Cedere, se non retrocedere, per le richieste della Commissione Europea nel controllo del bilancio degli Stati membri UE, per uniformarsi alle regole che – non sempre – valgono per tutti, è un discorso. Dover cedere, se non concedere, alle pretese della Commissione Europea che si occupa dei flussi migratori nell’area comunitaria, segnatamente di quelli che negli ultimi anni hanno invaso le coste Italiane, è ben altra cosa. Nel primo caso, si tratta di ricondurre l’attività amministrativa dello Stato all’interno dei parametri che guidano il rapporto di coesistenza nell’unione Europea, nel secondo, invece, l’operazione è pretesa di vera e propria rinuncia all’esercizio della sovranità nazionale. Nel caso peggiore si è trattato di garantire alle nazioni europee la sicurezza delle loro frontiere accogliendo in massa, sul suolo italiano, i flussi migratori di buona parte del bacino mediterraneo. Un cedimento politico quindi, per svendere la sicurezza delle nostre frontiere aprendole a chiunque voleva varcarle, ignorando le regole dell’Accordo di Dublino. Non è una considerazione preelettorale  E’ quanto ha dichiarato nel corso di una intervista,  Emma Bonino, all’epoca dei fatti ministro del Governo Italiano,  lasciando intendere che fu anzi il Presidente del Consiglio in carica a proporre alla Merkel, e quindi al resto d’Europa, la disponibilità dell’Italia a farsi carico di filtrare  nei numerosi centri di accoglienza, tutti coloro che si sarebbero affacciati alle frontiere sud della UE,  senza neppure l’obbligo di identificarli. In  cambio di qualche spicciolo (contributo di 130 milioni di euro contro un esborso già quantificato, per assicurare “chiavi in mano” questo servizio, di circa 5 miliardi), le nazioni europee avrebbero dormito sonni tranquilli. In aggiunta qualche sforamento sui conti di bilancio, vista la necessità di salvare banche decotte sotto il controllo degli amici degli amici. Il Monte Paschi di Siena è emblematico.  Non è superfluo sottolineare che l’opera di mistificazione ha evitato di far conoscere agli Italiani i termini del mortificante accordo, fintanto che la Bonino non si è “confessata” davanti ai microfoni. Si è scomodato persino il pluriscortato Saviano, che  dal suo attico dorato negli USA continua a recitare il copione dell’antimafioso. Si è detto esterrefatto dalla politica dell’attuale Governo, che “rinuncia” ad una quota dei 130 milioni di euro chiudendo le frontiere ai migranti il cui apporto economico avrebbe dato fiato alle smunte risorse nazionali. Non è chiaro come avrebbero potuto farlo, visto che almeno il 90  per cento dei migranti è di tipo “economico” cioè senza “ arte né parte”, né come questi avrebbero potuto inserirsi nel tessuto produttivo già oberato di disoccupati cronici, pagare tasse e contributi ( per la loro stessa previdenza) e, dulcis in fundo, integrarsi con le nostre usanze, leggi e quant’altro. Né è più chiaro il significato di “sovranismo” e “nazionalismo” dopo la vendita per un piatto di lenticchie della serenità di una nazione intera, ben  lontana dai livelli di welfare raggiunto dalle consorelle europee da “proteggere”. Presentarsi col cappello in mano alla corte delle maggiori economie del vecchio continente, per farsi carico della responsabilità della tratta degli schiavi del 21esimo secolo,  è stato un gravissimo atto di tradimento della sovranità popolare. Né basteranno parole come accoglienza, integrazione, carità cristiana per modificare questo convincimento. Stiamo pagando da tempo i processi di internazionalizzazione dell’economia, che hanno messo in crisi abitudini consolidate – non solo in Italia- di pensare alle vicende economiche, sociali e politiche in chiave solo nazionale. Ben oltre l’unificazione delle normative sulla circolazione,  sulle marmitte catalitiche o sulla difesa di alcune produzioni nazionali,  dal 1992 non si è ancora riusciti ad immaginare lo scenario in cui vivranno le nuove generazioni. Questi processi, in assenza di guide politiche lungimiranti, stanno aggravando gli squilibri e le ingiustizie ed hanno favorito una tenace saldatura tra le aree e i gruppi sociali forti con una ulteriore marginalizzazione dei segmenti deboli del sistema Europa. Emblematico il nostro Mezzogiorno, che da “questione nazionale” si è ridotto a “questione regionale” nel contesto europeo, per divenire, con la cessione della sovranità nazionale, una sorta di “campo profughi” europeo. Un salto indietro nella qualità della politica, orfana di previsioni che se non sono un fatto magico o profetico, restano pur sempre espressione di quanto si sanno ascoltare i segnali più deboli, provenienti dagli emarginati. Riuscire a percepirli ed amplificarli per contestualizzarli coi fenomeni in atto, vuol dire specializzarsi in competenze e ambiti di attenzione per sfruttare il vantaggio della proposta e ridurre le difficoltà di trovare la risposta quando gli avvenimenti prendono il sopravvento. L’assenza di una seria politica sull’immigrazione ha scoperto il nervo della inadeguatezza del governo di Renzi & C. in materia di ascolto di quei segnali, deboli, ma reali. E’ riuscito a  “reagire” agli eventi soltanto quando i  gruppi sociali forti hanno giocato d’anticipo proponendogli mosse, a cui né lui né la classe politica egemone hanno  potuto contrapporre progettualità e lungimiranza. Ciò nonostante ancora forti sono i tromboni che per nascondere quella inadeguatezza stigmatizzano, stando ben lontani dalle sabbie mobili, il rifiuto dell’elemosina per un’accoglienza foriera solo di grandi sovvertimenti sociali e grosse insicurezze.  Non si vorrà ammettere che quel rifiuto resta il desiderio di  riscatto della dignità nazionale, venduta per un piatto di lenticchie  e, al netto delle ipocrisie di maniera, il risparmio per la nostra economia, di ben 5 miliardi di euro, meritevoli di più proficuo impiego. La separazione tra istituzioni e società continua in picchiata e, nel vuoto generale di idee, la politica è diventata teatrino per un pericoloso esercizio di slogans.

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