La Lactalis ha piazzato un’altra bandierina sul mosaico della nostra industria alimentare. Dopo aver preso il controllo di marchi storici come Parmalat, Galbani, Invernizzi, Locatelli e Cademartori, il colosso francese mette a segno un nuovo colpo: acquisisce la Nuova Castelli, società di Reggio Emilia, leader nella distribuzione di formaggi Dop italiani e tra i principali esportatori di Parmigiano Reggiano nel mondo. La notizia dell’operazione ha alimentato le polemiche, tra chi è contrario, per paura che cambino gli equilibri di mercato e chi, invece, è favorevole agli investimenti transalpini che giungeranno nel nostro Paese. La Lactalis, infatti, controlla un terzo del mercato italiano in comparti strategici del settore lattiero caseario. E c’è chi teme che questa manovra possa mettere a rischio la competitività del sistema produttivo nazionale, con scelte strategiche che favoriscano le produzioni francesi a discapito delle produzioni nazionali. Soprattutto si teme un impoverimento del marchio Parmigiano Reggiano. Le preoccupazioni, in parte, sono legittime. L’operazione è costata 270 milioni ed ora Lactalis, rilevando l’intero capitale di Nuova Castelli, ingloba un’azienda che ha 13 siti produttivi in Italia e tre all’estero, impiega un migliaio di dipendenti e nel 2018 ha fatturato 460 milioni di euro, di cui il 70% grazie all’export di prodotti Dop come, appunto, il Parmigiano Reggiano, la mozzarella di bufala campana e il gorgonzola. Ci sono, però, alcune ragioni per cui l’affare non cambierà gli equilibri nel commercio del Parmigiano Reggiano, o la sua delocalizzazione. Intanto, bisogna rispettare un disciplinare rigidissimo. In secondo luogo, è necessario avere anche il titolo per produrre quel tipo di latte, che serve a realizzare le forme di formaggio: il Parmigiano è realizzato da 335 caseifici, che comperano il latte da 2620 allevatori; partite Iva che, non solo seguono scrupolosamente il disciplinare di produzione, ma che hanno un titolo in tasca che dà loro il diritto di produrre una quota definita di latte necessario per realizzare il re del Dop italiano. La delocalizzazione è quindi impossibile per un bene che deve rispondere a tali caratteristiche. Considerate queste condizioni, sarebbe molto complicato per Lactalis modificare il prezzo del latte o, peggio, trasferire la produzione del formaggio. Lo stesso ragionamento potrebbe essere suggerito per l’acquisizione dei formaggi sardi. Perché non valutare una manifestazione d’interesse per l’acquisizione dei due Consorzi sardi del Pecorino e del Romano da parte di Lactalis? Sarebbe l’affare del secolo per gli allevatori sardi. Scongiurata la delocalizzazione, per le stesse ragioni che riguardano il Parmigiano, si otterrebbero: stabilità del prezzo del latte, continuità produttiva nella nostra regione, ma, soprattutto, la garanzia di entrare con autorevolezza nel mercato mondiale. Protetti dal gigante industriale Actalis. Chissà…
g.f.