Un atto di carità per Mario Trudu

di Daniele Maoddi.

Le parole del detenuto Mario Trudu, affidate ad una lettera pubblicata nei giorni scorsi su La Nuova Sardegna, credo tocchino il cuore di tutti coloro che nutrono passione civile, e mi spingono, da cittadino impegnato nel volontariato e nella politica, a dire la mia su una vicenda che meriterebbe più attenzione. Trudu sconta una condanna al cosidetto ergastolo ostativo per il reato di sequestro di persona.
“C’è dell’aria disperata in questo cielo il pianeta dei fantasmi ha il suo via vai d’improvviso come un fremito di gelo quel “fine pena mai” – sono le parole di Dio vincente, una canzone di Piero Marras tratta da un vecchio di scritto di un detenuto che anni fa scontò la sua pena nel carcere dell’Asinara. E sotto questa identica aria disperata sembra esser scritto quest’accorato appello Tziu Mario Trudu che ha scontato 40 anni di carcere. Credo che in Italia siano pochi ad aver scontato ininterrottamente tanti anni di detenzione. Tziu Mario, all’età di settant’anni, chiede che la sua pena venga sospesa per avere la possibilità di curare una grave malattia, un tumore, che rende il suo stato di salute incompatibile con il regime carcerario. La giustizia deve fare il suo corso, scrivono e affermano tanti. Vero. Ci si appella alla certezza della pena, un principio sacrosanto che dovrebbe essere baluardo di ogni ordinamento giuridico cosi come, a mio parere, dovrebbe essere valido il principio del “fine pena certo”. Ma come scrisse un mio amico tempo fa a volte il carceriere più duro è l’opinione pubblica che spesso, punta il dito, giudica, reclama la forca e le manette. Ma il caso di Tziu Mario Trudu, la sua lettera appello, squarcia o dovrebbe squarciare il velo di ipocrisia che a volte condiziona e caratterizza il pensiero di tanti, in alcune occasioni nessuno escluso. Attenzione: massimo rispetto per le vittime dei reati per i quali Trudu è imputato. Non si parla di questo e non entro nel merito della sua specifica vicenda processuale. Il punto è che in un paese civile la detenzione carceraria non dovrebbe costituire una vendetta.
40 anni sono tanti. A volte sono una vita. 40 anni tra 4 mura, dove spesso la luce è fatta solo di sogni e dove ad occhi aperti si immaginano cose semplici ed essenziali: le carezze di un familiare o i sorrisi di un nipotino, il profumo di un bosco del proprio paese, lo sguardo rivolto al mare d’Ogliastra e al suo senso infinito di libertà. Chi siamo noi per giudicare, non tanto le vicende processuali sulle quali ciascun cittadino ha diritto di farsi un’opinione e di approfondire, per carità, ma la richiesta di un uomo, il quale, dopo aver pagato con 40 anni di carcere i suoi conti con la giustizia, sente la necessità, di chiedere pubblicamente allo stato la sospensione della pena per potersi curare da un tumore, per avere la possibilità di farlo accanto ai propri familiari, di avere il modo di affrontare la malattia circondato dagli affetti. Quella vicinanza anche fisica della propria famiglia che, insieme alla forza di volontà dell’interessato, costituiscono la spinta decisiva per affrontare una malattia. Mario Trudu non chiede di essere dispensato dal pagare per i reati di cui viene accusato, anche perché ha già trascorso più di metà delle propria vita in carcere. Chiede semplicemente e in modo garbato un atto di carità. Madre Teresa affermò che “Chi nel cammino della vita ha acceso anche soltanto una fiaccola nell’ora buia di qualcuno non è vissuto invano” . Ecc,o io credo che se lo stato, tramite il magistrato competente, scegliesse di accendere una fiaccola nell’ora buia del detenuto Trudu Mario, non sarebbe vano ma costituirebbe solo un atto di buonsenso che non toglierebbe nulla a nessuno, né significherebbe mancare di rispetto a qualcuno o a qualcosa. Sarebbe essenzialmente quello che Tziu Mario, inchinandosi e aggrappandosi alla sua fragilità fisica e d’animo, chiede oggi allo stato: un atto di carità. Io sento di essergli pienamente solidale e affettuosamente vicino in questo suo momento e in questa sua speranza.

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