Il lavoro in nero

L’ Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Sardegna ha diffuso un dato preoccupante: 126.000 soggetti a vario titolo rappresentano il “lavoro nero” nella nostra regione. Si tratta di 32.500 di irregolari, ovvero operatori abusivi che si spacciano per imprenditori, ma che di regolare non hanno nulla, e ben 94.000 occupati che con il loro operato mettono in difficoltà più di 16.000 imprese, di cui oltre 13.000 artigiane appartenenti a vari settori. Un’area grigia che in Sardegna produce più di 2 miliardi di euro. Lavoratori ombra che svolgono le mansioni di meccanico, carrozziere, muratore, giardiniere, elettricista, parrucchiere, estetista e chi più ne ha, più ne metta, senza che alcuno possa offrire garanzie per i rispettivi dipendenti e clienti. “L’abusivismo è un fenomeno che contrastiamo e combattiamo da sempre con forza e determinazione – denuncia Maria Amelia Lai, presidente di Confartigianato Imprese Sardegna – e siamo molto preoccupati che l’Isola sia al sesto posto in Italia per l’irregolarità degli indipendenti, che il tasso di illegalità sia del 17,3% (quasi 1 su 5) e che questo “sommerso” metta in difficoltà oltre 13mila imprese artigiane che sono sotto stress a causa di 2 anni di pandemia, della guerra, dell’aumento delle materie prime e del boom dei costi energetici”.

Nel resto d’Italia la situazione non è certo diversa.

 Le cause? La pressione fiscale reale italiana, calcolata al netto del sommerso, ha raggiunto ormai il 49%, il livello più alto d’Europa. Il Reddito di Cittadinanza, così come è stato applicato, non aiuta certo a superare la cultura del lavoro in nero. Gli imprenditori a qualsiasi livello sono asfissiati, oltre che dalle tasse, da costi energetici sempre più insostenibili.

Le soluzioni? Al nuovo Governo.

g.f.

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